Erano i primi anni Settanta, quando in maniera pionieristica alcuni appassionati si lanciarono nella realizzazione di innovativi volumi, che avrebbero descritto anche in Italia le uniformi militari per scopi collezionistici o di memoria storica. In capo ai singoli uffici storici degli Stati maggiori oppure a piccole case editrici private si sviluppò quindi la passione per la militaria, che nel breve volgere di pochi lustri iniziò a diffondersi a macchia d’olio anche negli ambienti non del tutto prossimi alle Forze armate.
Oggi si contano numerose riviste specializzate, mercati dedicati a cadenza quasi mensile ai quattro angoli del Paese, nonché un impazzire di forum, siti e spazi virtuali in cui collezionisti, studiosi o semplici curiosi si alternano nell’inserimento di foto o commenti all’ultimo “pezzo” trovato nella cantina di turno oppure su eBay.
Per questo motivo la ricerca storica sulle uniformi e sugli accessori è sempre in aggiornamento, per rinnovato interesse verso la collezione di qualità e verso l’interpretazione della “militaria” come elemento culturale e sociale. Sempre più spesso, anche per una fisiologica diminuzione del materiale genuino e per una ancora non del tutto decollata attrattiva per il periodo post 1945, il ricorso al tarocco, al falso o alla replica invecchiata risulta essere un’abitudine aihmè molto diffusa e dagli interessanti risvolti economici.
L’unica alternativa, rispetto all’amara scoperta di essere in possesso di una patacca, è senza discussione l’approfondimento, la sottile perizia nel saper distinguere l’oggetto autentico da uno che, non avendo le caratteristiche delle normative o di documenti simili, è identificabile come falso. In questo senso è da segnalare l’uscita del nuovo lavoro di Andrea Viotti, edito dall’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito: Uniformi e Distintivi dell’Esercito Italiano fra le due guerre. 1918-1935.
L’autore, già pioniere della materia uniformologica insieme agli altrettanto celebri Cantelli, Del Giudice, Brandani, Crociani, Ales, Fiorentino e Rosignoli, ha saputo ancora una volta descrivere con un’acuta precisione il vestiario e gli accessori del soldato italiano. Questa volta scandagliando quel periodo di “transizione” – come amano in molti chiamare – che rappresenta il primo dopoguerra, che fino ad ora in realtà si riduceva però a un’incognita nel panorama della militaria. Aveva provato in tempi passati Ruggero Belogi a colmare questa lacuna, con un testo seppure schematico, almeno tuttavia consapevole dell’importanza dell’intervallo considerato. Per molti collezionisti, anche per la non sempre facile reperibilità del testo di Belogi, ciò non poteva bastare. Essi avevano una conoscenza approfondita della Prima guerra mondiale, una sovrabbondanza di pubblicazioni sulla Seconda, con un’inevitabile retrospettiva sulla rivoluzione compiuta da Federico Baistrocchi tra il 1933 e il 1934, ma sugli anni Venti e sulla prima porzione di anni Trenta il silenzio più totale.
Il volume di Viotti ci spiega anche questo ritardo o meglio, lo si capisce leggendo le sue pagine. Le pubblicazioni (quelle commerciali ma anche in parte quelle istituzionali) nascono quasi sempre per esigenze del mercato di riferimento, che in Italia non sempre trova molto spazio per le uniformi grigioverdi a “collo chiuso”. Chi frequenta i luoghi della militaria sa bene che la maggior parte del materiale esposto è afferente a gusti esterofili (primi tra tutti quelli verso il III Reich). Per quel che riguarda la parte italiana invece, ciò che è più di attrattiva per il collezionista medio è legato alle guerre fasciste, appunto collocate per cronologia a partire dal 1935, escludendo per logica il materiale precedente.
In realtà proprio grazie a Uniformi e Distintivi dell’Esercito Italiano fra le due guerre. 1918-1935 ci accorgiamo oggi della notevole importanza delle numerose variazioni intercorse nel periodo e delle molteplici caratteristiche estetiche, che per approssimazioni successive hanno permesso il raggiungimento delle eleganti silhouette della riforma Baistrocchi. L’analisi delle ripetute sospensioni e dei ripristini delle policromie prebelliche, nonché il tentativo di nobilitare il vittorioso grigioverde, contribuisce a chiarire la logica di un’epoca, dove molte contraddizioni sono anche lo specchio di brillanti idee progettate, ma mai realizzate.
L’opera è divisa in due tomi. Il primo, di natura descrittiva, ripercorre lo sviluppo del corredo, anche grazie alla riproduzione dei verbali delle sedute degli organi competenti. Interessanti molte riflessioni dell’autore, soprattutto sul persistere dello scomodo colletto dritto a discapito del più funzionale rivoltato, prerogativa dei bersaglieri ciclisti, dei reparti d’assalto (meglio noti con il nome di “arditi”) e – solo in un secondo momento – della milizia fascista.
Il secondo tomo, invece, completamento illustrato, apre a 360 gradi tutte le varie sfaccettature dei corredi, fotografando subito il continuo accavallarsi di tenute e capi di vestiario, le cui circolari furono spesso più rapide all’obsolescenza delle rispettive distribuzioni e “consunzioni”, tanto da trovare persino elementi degli stessi reparti con abbigliamento così tanto variegato tra loro. L’apparato delle immagini è molto ricco e di prima qualità, come usanza delle opere dell’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito.
Da sottolineare, come ulteriore valore aggiunto dell’opera, i disegni a colori, opera dell’autore, che in maniera puntuale presentano le varianti dei gradi, degli identificativi di reparto o di corpo sui copricapo, sulle spalline e sui colletti.
In conclusione quindi un ampio plauso ad Andrea Viotti, che a partire dai testi sulle due guerre mondiali, per passare al monumentale lavoro sul periodo repubblicano, fatica condivisa con Stefano Ales, ora contribuisce ancora una volta a completare il più ampio spazio delle uniformi delle truppe metropolitane italiane del nostro Esercito.