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L’ora dell’Italia
Dopo la capitolazione delle ultime forze dell’Asse in Africa, appariva prossimo come campo di battaglia il turno dell’Italia. Caduta Pantelleria, ultima difesa prima del «sacro suolo della Patria», la Sicilia era ormai alle porte per gli anglo-americani, che dal 3 luglio iniziarono con insistenza una serie di violenti bombardamenti sulle città, sugli aeroporti e sulle principali basi militari.
Mussolini assicurò grandi difese per la Sicilia: impedimenti sulle spiagge (in quella circostanza coniò il termine «bagnasciuga» per intendere la striscia litorale tra mare e terra) e di fronte alle coste, ma la realtà si rivelerà ben diversa. L’operazione Husky, nella sua limitata potenza, era di notevole preponderanza rispetto alle esili forze italiane. La Marina alleata era padrona del mare, l’Aeronautica padrona dell’aria. L’8^ Armata britannica di Montgomery sbarcò tra Siracusa e Noto, la 7^ Armata statunitense, comandata da Patton sul litorale di Gela. La difesa si rivelò inadeguata, le piazzaforti (come l’imprendibile Augusta) erano state nel grosso abbandonate. Solo le divisioni tedesche riuscirono a concentrare un sufficiente contrasto, ma i forti bombardamenti avevano annientato ogni possibile resistenza. I rapporti tra italiani e tedeschi si rivelarono più difficili del solito: Kesselring per esempio pensò persino di ripiegare e di abbandonare l’isola con il proposito di formare una difesa più solida sul continente. Intanto mentre Montgomery trovò difficoltà nella zona di Catania, Patton con un’azione poco ortodossa, eludendo tra l’altro gli ordini superiori, aggirò i nemici, liberò Palermo e Cefalù, raggiungendo poi in una corsa contro il tempo Messina, per sottrarre la vittoria allo scomodo alleato Montgomery.
La caduta del fascismo
Lo sbarco alleato e la rapidità con la quale gli anglo-americani stavano avanzando sull’isola avevano seminato stupore e costernazione nel paese, creando disappunto e preoccupazione nel governo e aumentando il malumore all’interno del Partito fascista e nelle alte gerarchie militari. La caotica realtà della situazione in Sicilia spinse numerosi gerarchi a chiedere a Mussolini la convocazione del Gran Consiglio del fascismo, che ormai non veniva indetto dal 1939. La delegazione, composta tra l’altro da Farinacci, De Bono, De Vecchi, Acerbo, Scorza, Ciano e Grandi, si riunì il 24 luglio. Proprio quest’ultimo si rese portavoce di un ordine del giorno, che aveva come scopo quello di chiedere il riequilibrio dei poteri e delle forze all’interno delle istituzioni del Regno e quindi di condannare implicitamente l’operato politico e militare del dittatore. In quel frangente una parte importante e cospicua del fascismo chiedeva a gran voce la destituzione del loro capo. Mussolini tentò invano di acquietare il consiglio con una specie di arringa autodifensiva, ma il verdetto della votazione sulla mozione di sfiducia ottenne 19 voti favorevoli e solo 8 contrari. Mussolini, annunciando il verdetto, proclamò solennemente, come una specie di condanna: «Signori, con questo ordine del giorno avete aperto la crisi del regime». Il giorno successivo, 25 luglio, il Duce rimise l’incarico nelle mani del re, che sembrava ormai risvegliato da un letargo di oltre vent’anni. Accettate le dimissioni di Mussolini, che venne arrestato e condotto in un rifugio segreto, venne annunciata pubblicamente la caduta del fascismo e la nomina del maresciallo Pietro Badoglio a capo del Governo.
La guerra continua
L’annuncio del cambiamento al vertice dello Stato investì tutto il popolo italiano, il cui stupore venne espresso da un fragoroso giubilo, come se fosse accaduto qualcosa da molto tempo sperato, ma per paura tacitato. La realtà si rivelò però ben diversa: anche se la dittatura era crollata e la libertà sembrava aver ritrovato un suo significato individuale, la situazione bellica non vedeva un così grande cambiamento. Al posto di un politico assoluto adesso c’era un veterano militare, non proprio di tradizione democratica, a condurre le sorti dell’Italia. La Sicilia era ancora un campo di battaglia e per quanto ancora ufficialmente in guerra, le forze armate italiane avevano perso, con il proclama del 25 luglio, ogni senso di mordente ed entusiasmo, preferendo la ritirata al proseguimento dei combattimenti, consapevoli di una sorte ormai già segnata da molto tempo. Nella confusione e nella più totale indifferenza il 17 agosto tutta la Sicilia venne occupata dagli Alleati.
Badoglio, da sempre fascista più per convenienza che per sentimento, maturò la convinzione che il futuro del paese fosse da ricercare in una veloce trattativa con la parte avversa. Il maresciallo aveva idee relativamente chiare sul da farsi a carattere diplomatico. All’opposto il comando alleato non si fidava degli italiani e non riteneva le posizioni di Badoglio sincere. Oltre a temere tranelli politici, non credeva nella solidità delle istituzioni italiane con i tedeschi in casa. Per questi motivi Eisenhower apparve molto cauto nel patteggiamento e nel fissare i criteri di resa, in quanto l’Italia, nelle condizioni in cui si trovava, non avrebbe dato piene garanzie di stabilità.
A questo punto il governo italiano segretamente entrò in dialogo con le alte sfere anglo-americane e firmò un armistizio il 3 settembre a Cassibile, che venne proclamato pubblicamente solo il giorno 8 settembre con un drammatico comunicato alla radio, in cui si chiedeva la resa senza condizioni agli Alleati. Tuttavia la notizia si rivelò volutamente ambigua per il popolo e per le forze armate italiane, perché non chiariva bene la situazione esistente. Se gli anglo-americani erano ormai da considerare amici, i tedeschi, desiderosi di lavare con il sangue il tradimento appena compiuto, per il governo italiano non erano ancora da trattare ufficialmente come nemici. La commedia degli inganni era al suo apice, però non ingannava ormai più nessuno.
Tutti a casa
Dopo la resa agli Anglo-americani, le forze armate italiane si trovarono in una crisi profonda, anche perché la dichiarazione di armistizio svincolata da ogni consultazione preventiva con l’alleato germanico favoriva un senso di tradimento e di ostilità nei propri riguardi. I tedeschi erano pronti a infliggere una severa lezione ai volgari traditori, proprio perché dalla loro avevano una superiorità militare nel paese con la dislocazione di reparti in piena efficienza sull’intera Penisola. La tattica del proclama di Badoglio era fin troppo chiara a Berlino: l’Italia era diventata un perfido nemico, vano il tentativo di occultare nel discorso dell’armistizio con giri di parole la realtà. Il governo italiano in questa circostanza non aveva avuto il coraggio di dire chiara la verità, cioè che bisognava prepararsi a combattere contro gli ex alleati.
L’esercito, «agli eventuali attacchi» a cui Badoglio accennava per radio, cercò di reagire, ma gli armamenti erano scarsi, le gerarchie erano interrotte e in Italia vi erano quasi più soldati tedeschi che italiani. Badoglio e il re, dato l’ordine sostanziale di arrangiarsi, di risolvere la situazione alla meglio, abbandonarono una Roma circondata da schieramenti tedeschi. Il loro piano era di raggiungere in gran segreto Pescara in auto, per poi raggiungere Brindisi con l’incrociatore Baionetta. Per le alte istituzioni politiche e militari le sorti della nazione, della popolazione e delle forze armate erano cosa di secondo piano, rispetto alla continuità della monarchia e del governo.
Le due Italie
Hitler, dopo la caduta in disgrazia di Mussolini, ebbe come proposito quello di preparare un piano di liberazione, ma il governo italiano spostò il Duce numerose volte, proprio per evitare un suo ritorno alla scena politica. Solo dopo l’armistizio un piano poté essere attuato con possibilità di successo: il 12 settembre iniziò l’operazione, con l’impiego di aerei e un reparto di paracadutisti tedeschi, che atterrarono a Campo Imperatore sul Gran Sasso, dove senza colpo ferire Mussolini venne liberato. I carabinieri che lo tenevano prigioniero non opposero alcuna resistenza ai liberatori, anche perché essi non avevano ricevuto alcun ordine preciso per circostanze simili. Il dittatore italiano venne quindi accolto da Hitler in Germania, per la programmazione della vendetta. Mussolini si riorganizzò, tornò in Italia e proclamò la Repubblica Sociale Italiana con sede principale Salò. Il 9 settembre, in base alle clausole della resa, iniziò un operazione in forze per lo sbarco alleato su Salerno. Le difese risultano inesistenti, divisioni aerotrasportate alleate si impadronirono anche di Taranto e di altre rilevanti posizioni strategiche del Sud. Intanto a Roma i partiti antifascisti, che si erano messi a capo della situazione dopo la fuga del governo, iniziarono a organizzare contro i tedeschi una struttura paramilitare adeguata alla difesa del territorio. Ecco quindi la formazione del C.L.N. (Comitato di liberazione nazionale) che espresse la sua azione attraverso numerose formazioni partigiane soprattutto al Nord.
Mentre a Roma la situazione stava precipitando e le ultime difese militari a Porta San Paolo venivano annientate, a Napoli iniziarono le cruente 4 giornate (27-30 settembre), dove alla collera della popolazione venne dato ampio sfogo, per liberare la città dall’occupazione tedesca. Alla lotta si unirono anche donne e bambini (i famosi scugnizzi), che poco armati, ma con un vivo desiderio di libertà opposero una notevole opposizione, schierandosi contro i tedeschi.
La lenta avanzato degli Alleati
All’arrivo delle truppe statunitensi della 5^ armata, comandate dal generale Mark Clark, la città partenopea era già stata liberata. Le truppe anglo-americane, quindi si polarizzarono tutte verso Nord, per concentrare le forze nella liberazione di Roma, ma la situazione appariva più difficile delle aspettative. I tedeschi, ormai molto organizzati, opposero difese considerevoli sulla Linea Gustav, al confine tra Campania e Lazio, con un massiccio uso delle fortificazioni sul promontorio di Cassino. Le truppe alleate non riuscivano a sfondare la linea, a fronte dei ripetuti attacchi che non sbloccarono il trinceramento in Ciociaria. I fitti bombardamenti della zona arrecarono una spaventosa tragedia umana e un danno immenso di tipo storico-artistico con la distruzione dell’abbazia di Montecassino. Per questo iniziò la progettazione di un’azione di aggiramento per mare. Il 21 gennaio iniziò l’operazione di sbarco ad Anzio, dove le truppe britannico-statunitensi non trovarono ostacolo, perché tutte le riserve tedesche erano state dislocate a Cassino. Un attacco veloce e l’avanzata verso Roma sarebbero stati fulminei e vittoriosi, ma il generale John Lucas, comandante delle truppe sbarcate, si rivelò titubante e fece rimanere sulle spiagge gli uomini in attesa dei rifornimenti e dei rincalzi. Questa mossa troppo prudente fece sfumare anche u’eventuale azione dei partigiani romani, che avrebbe garantito un’ottima opera propagandistica e una tappa decisiva per l’intera campagna d’Italia. Questa mossa portò alla perdita di tempo prezioso e del vantaggio iniziale. Si diede il tempo ai tedeschi, ora arrivati sulle spiagge, di organizzarsi e di porsi in punti strategici e quasi imprendibili. Il cannone tedesco Anzio-Express martellava con insistenza le truppe alleate. La vera responsabilità tuttavia non era di Lucas, ma di Alexander e di Clark, troppo timorosi e troppo legati ai rispettivi comandi superiori e alle loro direttive politico-militari. Intanto a Roma la Resistenza continuava le sue azioni di diversione, anche grazie all’aiuto dell’O.S.S., lo spionaggio alleato.
C.L.N. e gli Alleati
Il giorno 4 giugno, mentre nei cieli della Normandia già si respirava aria inquieta, gli statunitensi erano già per le strade di Roma. Clark entrava da vincitore nella capitale, osannato dalle folle. La città era rimasta intatta per le azioni dell’O.S.S. in collaborazione con i gappisti, formazioni partigiane locali dedite ad azioni di sabotaggio e d’intelligence contro i nazi-fascisti. Proprio per questo motivo era stato inviato a Roma il capitano Peter Tompkins, che doveva coordinare l’avanzata alleata con le azioni partigiane in città. Questi riuscì nel suo compito perché i suoi collaboratori romani, che vennero catturati e torturati a via Tasso non rivelarono mai la sua identità e la sua base operativa. Intanto anche la politica cominciava a Roma nel suo lavoro.
Se nelle strade si esultava alla liberazione, in città si riunirono i principali esponenti dei partiti antifascisti: De Gasperi, Bonomi, Saragat, Nenni, Togliatti e Croce. Essi diedero vita al nuovo governo italiano antifascista, in collaborazione con quello del Sud e con le alte sfere anglo-americane. Le operazioni belliche continuavano su tutta la striscia italiana, tra l’Adriatico ed il Tirreno. Firenze venne liberata venne liberata in agosto. Clark e Alexander guidarono l’avanzata verso il Nord, grazie ai soliti buoni contatti di spionaggio e di collaborazione dietro le linee con la Resistenza italiana. Come reazione Kesselring scelse la ritirata, perché una difesa adeguata poteva essere realizzata solo sull’Appennino tosco-emiliano, sulla Linea Gotica. Con l’aiuto delle informazioni dei partigiani, armati e equipaggiati dall’O.S.S., Clark riuscì a scoprire il punto più debole del fronte, ma come al solito egli ebbe paura e in ottobre preferì fermarsi e non raggiungere Bologna. Seguì la rappresaglia dei tedeschi e dei repubblichini: vi furono numerosissimi casi dappertutto di feroci e sommarie esecuzioni di partigiani e civili come per esempio il drammatico episodio di Marzabotto (1.836 civili vennero trucidati dalle SS). Secondo un suo strano piano, Alexander ordinò ai partigiani di concludere le loro azioni nei boschi e tornare a casa, ma ciò sarebbe significato essere scoperti e fucilati, per questo il generale Raffaele Cadorna e gli altri capi delle formazioni del C.L.N. continuarono nelle loro imprese dietro le linee. Esse impedirono, seguendo un altro piano, alcuni bombardamenti programmati sul Ravenna, per evitare lo scempio della città d’arte. L’azione ebbe successo, la città fu salva, ma per ordine del Duce le ceneri di Dante vennero prese dai repubblichini e portate a Milano. Mussolini, sempre altalenante tra Milano e Salò, preparava ancora le sue milizie scelte: i Battaglioni M, le Brigate Nere, le SS Italiane e la X Flottiglia Mas di Valerio Borghese che al fianco delle truppe di Kesselring si impegnavano attivamente nei rastrellamenti e nelle azioni punitive. Nell’altro schieramento i 6 Gruppi di Combattimento (Folgore, Friuli, Piceno, Legnano, Cremona e Mantova) del ricostituito Regio Esercito Italino uniti ai paracadutisti polacchi continuarono negli attacchi sulla valle Padana. Intanto anche nel Nord-ovest la liberazione delle città procedeva con numerosi successi. Oltre alla formazione delle cosiddette “Repubbliche partigiane” (Bobbio, Ossola, Langhe, ecc.), iniziarono le sommosse popolari a Genova e a Torino. In quest’ultima, la brigata Garibaldi si impossessò persino di un carro nemico, impiegandolo per cacciare i tedeschi.
L’epilogo di Salò
A Milano tra il 24 ed il 25 aprile il C.L.N. iniziò le trattative di resa con Mussolini, attraverso il contatto del cardinale Schuster all’arcivescovado. Pertini, Cadorna e gli altri membri del C.L.N. Alta Italia erano molto risoluti e si dimostrarono intransigenti di fronte alle condizioni poste dai fascisti. Il Duce informò delle trattative solo il maresciallo Graziani e il prefetto Bassi, escludendo non solo i tedeschi, ma gli altri suoi più stretti collaboratori. Pertini aveva paura che i tentennamenti di Mussolini fossero in realtà finalizzati a prendere tempo alla ricerca di nuovi contatti e quindi scappare. Il dittatore il 25 aprile intanto accusò con vigore i tedeschi di tradimento, perché questi a sua insaputa avevano anche loro iniziato negoziati in Svizzera con gli Alleati. Mentre Mussolini discuteva con il comando tedesco, sui tradimenti e sulle responsabilità, le spie alleate si unirono al C.L.N. di Milano, per organizzare la resa senza condizioni e la cattura di Mussolini. Il Duce, nella confusione delle trattative, insieme a un manipolo di uomini, trovò la fuga da Milano e si diresse verso la Valtellina. Il suo proposito era raggiungere la Svizzera e allacciare una via preferenziale con il governo britannico. Al contrario i generali Graziani e Wolf si arresero agli statunitensi. Il C.L.N., temendo un salvacondotto americano a favore del dittatore (magari in funzione antisovietica), nell’intento di catturare e giustiziare Mussolini, inviò a Dongo sul Lago di Como il 28 aprile un manipolo di uomini, di cui ancora oggi si ignorano le reali identità. Questi arrestarono il Duce e Claretta Petacci e li giustiziarono «in nome del popolo italiano». Il giorno seguente, mentre gli Alleati si avvicinavano a Milano, a Piazzale Loreto vennero esposti i corpi senza vita di Mussolini e degli altri gerarchi, con lo stesso rituale con il quale era stato fatto scempio anni prima degli oppositori politici antifascisti. Il popolo milanese inveì con crudeltà le salme di quei uomini che per venti anni aveva osannato.