La Battaglia d’Inghilterra

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La preparazione dell’invasione

La guerra lampo tedesca aveva dato ottimi risultati: in meno di un anno erano cadute la Polonia, la Danimarca, la Norvegia, l’Olanda, il Belgio e la Francia. Hitler sentiva la vittoria in tasca, anche se non tutti i suoi nemici erano caduti sotto i suoi artigli; in armi vi era ancora la Gran Bretagna. Da Calais le bianche scogliere di Dover erano ben visibili e al dittatore non sembrava difficile raggiungerle. Insieme al suo Stato maggiore studiava un piano per l’occupazione delle isole britanniche, ultimo baluardo prima della conquista del mondo. Hitler affermava con convinzione di poter facilmente raggiungere il suo obiettivo, vincendo dove aveva fallito Napoleone. Le truppe dislocate sulla costa Sud della Manica si sentivano piene di energia, non vedevano l’ora che iniziasse quella che giudicavano ormai l’ultima offensiva, prima della vittoria totale. Il piano per l’attacco venne preparato con precisione in sei settimane. Esso prevedeva tre fasi. La prima doveva garantire la superiorità aerea e marittima per l’eliminazione delle vie di comunicazione; con la seconda vi era l’impiego delle truppe paracadutiste, per la preparazione a terra degli sbarchi con opere di sabotaggio; infine la terza fase, l’attacco vero e proprio dal mare e dal cielo, con i1 quale si continuava la tattica della Blitzkrieg in terra britannica.

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La guerra del popolo

Nel periodo successivo alla fine della Battaglia di Francia, il Regno Unito non rimase inoperoso, anzi iniziò a preparare la difesa della propria terra. L’esercito era in condizioni disastrose, formato dagli scampati di Dunkerque, perlopiù malati, feriti e stanchi. L’equipaggiamento era inesistente, tutto il materiale e le armi erano state abbandonate in Francia per salvare gli uomini. Quello che si aveva non era sufficiente nemmeno per una divisione. La marina era ancora in piedi, ma si trovava dispersa per il mondo nella difesa delle colonie e delle linee di rifornimento; del resto sarebbe stato inutile e distruttivo pensare di posizionarla nella Manica, come bersaglio degli attacchi della Luftwaffe. L’aviazione di Sua maestà poi, per quanto moderna potesse essere, era inconsistente nel numero; il rapporto con quella tedesca sia per uomini che per mezzi era di 1 a 10. La vera spinta che però Hitler non prevedeva non si basava nella consistenza delle forze armate, ma nella partecipazione di tutto il popolo britannico alla difesa comune; solo in uno Stato democratico era la gente che faceva la guerra, non solo le forze armate o il governo. Tutti, uomini e donne, adolescenti e anziani iniziarono l’impegno per lo sviluppo della potenza bellica. Il lavoro in fabbrica non aveva sosta, gli operai iniziarono a lavorare fino a 70 ore settimanali. Solo il governo li obbligò a diminuire i turni per mantenere efficiente la produzione, divenuta imperfetta a causa della stanchezza. Al di fuori delle fabbriche si preparavano rifugi antibombardamento; le «milizie popolari» si addestravano e perlustravano le campagne alla ricerca di spie e di paracadutisti nemici; sulle spiagge iniziarono i lavori di difesa.

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La Royal Air Force

I tedeschi non si fecero attendere e all’alba dell’8 agosto i loro aerei compirono per la prima volta quelle 21 miglia di mare, quegli otto minuti di volo che separavano il continente dalla «Perfida Albione». I bersagli dell’offensiva erano le navi mercantili, quelle militari e i porti; bisognava impedire che la nazione fosse mantenuta dal di fuori, sottraendogli le materie prime e i generi di consumo. Churchill, forte del suo ottimistico senso di vittoria, lasciò la difesa aerea al comandante dell’Aria, maresciallo sir Hugh C. T. Dowding, consapevole della propria inferiorità numerica ma speranzoso nell’impiego del radar, che secondo il primo ministro poteva rivelarsi l’arma vincente. Anche se la Raf si trovava attaccata da ogni lato, adoperava i propri validi aerei e giovani piloti secondo schemi ottimali. Il personale delle flotte ebbero la meglio sugli avversari, abbattendo subito molti velivoli nemici. Il segreto dell’aviazione britannica era la dislocazione degli apparecchi; non vennero ammassati sulle piste o negli hangar, ma in luoghi nascosti e difficili da colpire. In questo modo non solo non erano di facile bersaglio, ma avevano la possibilità di decollare con rapidità dopo l’allarme delle postazioni radar costiere, che del resto individuavano gli stormi avversari ancora in territorio francese e suddividevano geograficamente le zone aeree di combattimento.

Questa tattica apparve subito favorevole agli «assediati» che riuscirono ad abbattere in 10 giorni 697 aerei tedeschi, catturando anche molti piloti scampati; al contrario le loro perdite erano state di molto inferiori: solo 153 apparecchi persi dei quali riuscirono a salvarsi 60 piloti. Oltre a piloti britannici e delle colonie, le forze aeree erano formate, per la scarsezza di piloti, anche da aviatori delle nazioni già cadute sotto il giogo nazista: polacchi, belgi, francesi, ecc.

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Distruzione e libertà

Hitler anche se al Reichstag continuava con i suoi ottimistici proclami, con i suoi apparve vivamente scontento della situazione. I suoi piani di invasione risultavano bloccati; per questo Göring prese direttamente il controllo dei bombardamenti. Alla fine di agosto l’operazione venne impostata con un altro metodo di attacco: più caccia e meno bombardieri (o forse c’era penuria di bombardieri) diretti ai centri industriali del Sud e della capitale, ma in questo frangente l’impiego del radar permetteva sempre di rispondere con allarmi veloci e contrattacchi fulminei. Il risultato non cambiò: nelle operazioni di inizio settembre la Luftwaffe aveva perduto 562 aerei con i relativi equipaggi, la Raf solo 219 velivoli, salvando 132 piloti.

Il dittatore tedesco rimase assolutamente sbalordito dall’incapacità di sconfiggere l’avversario militarmente, quindi decise di provare a distruggere lo spirito libero inglese, che gli si presenta così ostico. Iniziarono così i massicci bombardamenti sulla capitale, martoriata in pochi giorni. La popolazione non demordeva e si abituò a vivere nei rifugi o nella metropolitana e a mangiare poco; i pompieri erano sempre in servizio e le basi dell’aviazione rimaneva sempre in allerta. Il 7 settembre la Battaglia d’Inghilterra divenne la Battaglia di Londra, le bombe cadevano dappertutto sulle case, sui negozi, sugli ospedali, sulle industrie e sulle chiese. In questa distruzione selvaggia venne usato anche un tipo di bomba che scoppiava solo dopo giorni e quindi che provocava ancora più danni e più morti. Tutto ciò non faceva crollare la nazione, anzi gli Spitfires e gli Hurricanes continuavano imperterriti negli scontri aerei, uscendo per la maggior parte vincitori. Churchill e re Giorgio V rimasero vicini alla popolazione nel sacrificio e nella speranza di un riscatto.

La reazione di Göring si rivelò sempre più aggressiva, tra il 7 settembre e il 5 ottobre vennero gettati 50 milioni di libbre di esplosivo sulla capitale, che provocarono 7.000 morti e più di 10.000 feriti. Caddero bombe anche su Buckingham Palace, sulla cattedrale di Westminster, sul Parlamento e sulla basilica di San Paolo; il quartiere dei Dooks divennero un inferno di fuoco. I nazisti in questo modo avevano l’obiettivo di distruggere il passato storico britannico, ma questa impresa gli causò anche la perdita di altri 900 aerei. Dal 6 ottobre iniziarono anche i bombardamenti notturni, che dovevano avere il compito di sottomettere e far chiedere pietà ai londinesi, ma essi resistevano sotto le rovine e continuavano il lavoro in fabbrica. Gli aerei britannici continuavano e non solo si difendevano ma iniziarono a bombardare anche le città tedesche: Brema, Amburgo, Hannover e perfino Berlino. A tale presunzione Hitler non ci vide più dalla rabbia e al grido di «dannati assassini» ordinò una vendetta mille volte maggiore: il 14 novembre la cittadina costiera di Coventry venne rasa al suolo, come Varsavia e Rotterdam. Il termine «coventrizzare», sinonimo di distruggere e radere al suolo, prese vita proprio in quell’occasione.

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La vittoria del popolo

Dopo devastazioni, sofferenze e morti, il popolo britannico era sempre in piedi e soprattutto libero. Infatti la battaglia era stata vinta dal popolo non dall’esercito. Hitler aveva perduto ed era crollata la famosa invincibilità tedesca. La Germania aveva perso 2.375 aerei e aveva provocato 40.000 morti e 50.000 feriti, ma nessun soldato nazista aveva calpestato le spiagge britanniche; solo i prigionieri avevano potuto varcare il terreno dell’isola.

Ciò poté accadere, perché lo scontro era tra un regime totalitario e una popolazione libera, motivata perché difendeva casa propria. In questo modo una «debole e molle democrazia» non aveva solo respinto le armate nazista, ma aveva guadagnato mesi preziosi nella lotta contro la barbarie e la sopraffazione.

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